Mi interessano i luoghi e il modo in cui le persone li abitano, trasformandoli e costruendo storie. Me ne occupo con la progettazione culturale e la fotografia. Preferisco la dimensione collettiva del lavoro. Mi piace esplorare, camminare sulle montagne, pedalare in riva al mare.
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Viso A Viso nasce nel 2020 durante la pandemia Covid-19 come possibile risposta ai bisogni di un territorio, scegliendo la Cooperativa di comunità come metodo e modello di innovazione sociale. É un progetto collettivo che accoglie, con entusiasmo e impegno, la sfida per la montagna contemporanea e la sua abitabilità in una dimensione europea, sperimentando un modello di rigenerazione a base culturale, con particolare attenzione ai giovani.Con questa visione Viso A Viso cura progetti, attività e servizi per residenti e visitatori, creando nuova economia sul territorio: welfare culturale e di comunità, accoglienza, turismo sostenibile e inclusivo. La cooperazione per Viso A Viso è tanto strumento quanto pratica quotidiana.
Osserviamo che cosa significhi materialmente abbandonare un saper fare consolidato, cambiare gli strumenti di analisi e rappresentazione, chiedendoci quale impatto e quale influenza possano avere i metodi, i dispositivi (più ancora che gli esiti formali) e le strategie messe in gioco sulla percezione collettiva dei fenomeni che affrontano. La produzione artistica internazionale ha infatti elaborato negli ultimi anni strategie e pratiche fotografiche inedite, in qualche modo divergenti rispetto alla propria tradizione, anche tramite l’utilizzo di nuovi strumenti, spesso allargando lo spazio di lavoro a modalità collettive di indagine, ricerche di lungo periodo e un’intensa pratica dei luoghi.
La BVA parte da un progetto pilota replicabile e implementabile che si sta sviluppando in un piccolo comune montano, e attraverso un processo aperto e inclusivo, tende a costruire una costellazione di comunità, saperi, relazioni e scambi. Un processo adattivo e abilitante che attiva l’intelligenza collettiva dei luoghi per ricostruire il sentirsi soggetto comunitario di un territorio, per un nuovo e contemporaneo immaginario alpino.
Co-City è il progetto innovativo di promozione della gestione condivisa dei beni comuni realizzato dalla città di Torino grazie al programma europeo Urban Innovative Actions (UIA). Il progetto prevede la riqualificazione di beni immobili e spazi pubblici in condizioni di degrado o parzialmente utilizzati attraverso la stipula di patti di collaborazione tra l’Amministrazione e le cittadine e i cittadini, come strumento di promozione della cittadinanza attiva e per il contrasto alla povertà e al degrado nelle aree più fragili della città. Il progetto ha attivato percorsi di co-progettazione per la rigenerazione condivisa di spazi, co-produzione di servizi, idee di impresa di comunità e nuovo welfare urbano, agganciandosi a progetti di innovazione sociale già in corso in città e contribuendo a valorizzare quel sistema di associazioni e soggetti civici già attivi in diverse zone della città.
Il montaggio, che dà nuovi significati alle immagini provenienti dagli archivi, è stato a lungo una metodologia artistica utilizzata per film, fotografia, arti visive. In questo contesto alcune opere, come i riusi architettonici più interessanti, non ripropongono pedissequamente realtà preesistenti. Al contrario, attraverso un processo di allontanamento e di assemblaggio, si rilanciano, aprendosi a esiti inattesi. Questo testo propone un’analisi di alcune opere a cavallo dell’inizio del millennio, di Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi e Joan Fontcuberta. Questi autori, con modalità diverse, suggeriscono l’esistenza di un terreno comune, una possibile mappa della produzione artistica contemporanea che ha a che fare con i territori alpini. Fantasmi nitrati di esseri viventi sospesi in un bianco quasi astratto, paesaggi digitali, scheletri di sirene. Le immagini differiscono notevolmente l’una dall’altra e spiazzano l’osservatore. Decostruendo i meccanismi alla base delle comunicazioni prodotte dai diversi sistemi di potere (scientifico, politico, ecc.), smantellano i pregiudizi e le visioni consolidate. Non oppongono nuove realtà a quelle esistenti, ma con l’irruzione dell’inaspettato, della discrepanza e dell’eterogeneità, rispetto alle convenzioni e al prevedibile, attivano l’osservatore, rimbalzato fuori dalla zona di comfort dello spettatore passivo.
Fabrizio wrote about Five Portraits of Alice: "My personal Wonderland has always occupied a large portion of my life, both in childhood and adulthood. There is no doubt that it was a way, as perhaps it still is, of protecting myself from the real world, which can at times be brutal and indifferent.(…) Wonderland is a fantasy, as is the story that each of us creates of ourselves. Between the imaginary and reality, this story becomes our story, one which is full of incoherence and pitfalls, but at the same time it is still the place where the facts of life find their meaning and where dreams take shape, which become ideas and maybe even projects that come true.
Phos Centro Fotografia Torino, con la collaborazione di Miagliano LAAB, presenta “Orditure”, una mostra collettiva di Fabio Oggero, Mattia Paladini e Vittorio Sancipriano, esito di una residenza d’artista a Miagliano (maggio 2019). Miagliano è un comune in provincia di Biella con un significativo passato industriale. Sede del cotonificio Poma dal 1865, si è sviluppato attorno all’attività produttiva per più di un secolo prima della sua definitiva chiusura nel 1992. A testimonianza di questa storia persiste un complesso industriale grande quanto il paese stesso, all’interno del quale stanno nascendo nuove realtà produttive e culturali. Fabio Oggero, Mattia Paladini e Vittorio Sancipriano hanno lavorato negli spazi della fabbrica, indagando l’impatto che questi hanno avuto nei luoghi, nelle storie. L’evento fa parte del festival NESXT.
Il film deve la sua genesi al lavoro appassionato di alcuni studenti della facoltà di architettura di Torino. Si è arricchito del contributo del fotografo Andrea Botto e dei suoni dell’artista Alessandro Sciaraffa che ne ha curato la colonna sonora. È stato colorato (in rosso) da frammenti dell’Archivio del cinema d’impresa e da fotogrammi dipinti da Paolo Leonardo. È dedicato a Marina Garbarino (1960-2016) e a tutti gli attivisti che si sono mobilitati nella prima lotta ambientalista italiana.
Il luogo sacro era la scena del sacrificio, che andava scelta ogni volta seguendo criteri fissi: “Oltre a stare in alto, quel luogo dovrà essere piano; e, oltre ad essere piano, dovrà essere compatto; e, oltre ad essere compatto dovrà essere inclinato verso est, perché est è la direzione degli dei […]”. Alto, piano, compatto: questi i primi requisiti del luogo del sacrificio. Come se si volesse definire una superficie neutra, una tela di fondo su cui disegnare i gesti con perfetta naturalezza. È l’origine della scena come luogo predisposto ad accogliere tutti i possibili significati. Quanto di più moderno, anzi, la scena stessa del moderno. Calasso Roberto, L’ardore, Adelphi, Milano 2010, pp. 21-22.
An evocative portrait of one of the finest—and later forgotten— sculptors of the Italian 19th century, Giulio Monteverde, released on the 100th anniversary of his death, the work aims to share with an international audience an homage to the art of plaster, a material widely disregarded, both fragile and long-lasting, poor and precious, provisional and original. I will not die entirely translates Horace’s lyrics Non omnis moriar—evoked by a Senator of the Reign during the commemoration of the sculptor’s death—and generates a reflection on different planes. By honoring the artistic heritage of Giulio Monteverde, and his uncompromising approach on funerary art—a practice at the time mostly comforting in providing a promising imaginary of the Christian afterlife—the eschatological opposition between the eternal life provided by the religious salvation through faith and the secular immortality of the artist through the legacy of his/her work finds here a space for a visual and textual interplay. Moreover, it resonates with the complex destiny of the plasters of Bistagno (hometown of Giulio Monteverde) and with the replicability of this ancient, and yet surprisingly contemporary, form of art.
Migration, the physical movement of a living being from one area to another , is widely and positively accepted as something “natural” if related to animals, critically perceived if related to human beings. Animal migration is a liberating and rewarding subject for our glance, while human migrations, even though overexposed in the mainstream media, deeply question our static position, thus generating some kind of blindness, an incapacity of seeing. The overlapping maps of both animal and human migrations generate, in this work, a kind of visual question. Murmuration was born in 2016 from this very simple observation. Murmuration investigates the way we as humans observe and control the crossing of borders, frontiers, but also mountains and other spaces. A society focused on control weakens and narrows the concept of citizenship, showing visible evidence of fragility instead of strength, as one could expect. The making of the project has been possible thanks to scientific and social partners. Murmuration is a long term project aimed to be a book.
Il grande vuoto lasciato in poco tempo dal ghiacciaio Sommelier, dove fino a pochi anni fa si praticava lo sci estivo, mette in evidenza tutta l’inadeguatezza del nostro guardare odierno, facendo intravedere la stanchezza di un ideale di modernità che durante il pieno Novecento aveva significato progresso e sviluppo, libertà e emancipazione. E questo appannamento, oramai trentennale, apre a una serie di domande, tutte difficili, che pongono un problema, oramai non più rinviabile, di confronto progettuale col domani.” – Antonio De Rossi
“È già entrata in vigore in Spagna la legge per gli imprenditori, che prevede la concessione dei permessi di soggiorno per gli stranieri che investono in spagna. La normativa prevede che gli stranieri non residenti possano ottenere il permesso di soggiorno purché effettuino un investimento di capitale rilevante o acquistino una casa superiore a 500.000 euro.”
Osservo questo territorio come qualcosa di stranamente familiare: l’assenza di città, lo spazio pubblico sostituito da un giardino consolatorio. La modalità di lavoro proposta da Confotografia, nell’ambito del quale questo lavoro è stato prodotto, basata sullo scambio di conoscenze tra fotografi e cittadini, ha innescato una narrazione che è frutto dell’incontro di uno sguardo esterno e di una esperienza vissuta in prima persona. Questa messa in relazione ha prodotto un lavoro che si compone, da un lato, da una serie di fotografie, necessariamente mute, che interrogano gli spazi del post terremoto, dall’altro da un dialogo possibile, sotto forma di video, tra Nicoletta Bardi, Anna Barile, Sara Bulma, Isabella Tomassi. Attraverso le loro narrazioni emergono i processi e i luoghi condivisi che hanno contribuito a generare: un orto insorto, un bibliobus, un centro sociale occupato, un eco-villaggio autocostruito. Emerge una distanza incolmabile tra i luoghi nati per iniziativa di cittadini o associazioni e gli spazi previsti e realizzati dal piano della Protezione civile. Due storie antitetiche.
Anche se il lavoro decentra lo sguardo verso il mondo affiorante dei nuovi abitanti e a ciò che è stato intenzionalmente sommerso o sottratto alla vista, il convitato di pietra è la grande opera in cantiere e le ragioni delle infrastrutture che, sotto forma di autostrade, dighe, ferrovie, ecc. più di ogni altro elemento antropico, hanno plasmato una valle contesa in ogni epoca storica. A un altro livello, il progetto affronta il tema del percorso solitario, di chi batte un sentiero e propone un’azione alternativa. La ricerca come fatto necessariamente individuale prima che collettivo. Il lavoro è stato reso possibile da: Etinomia, Canapa Valle Susa, Principi Pellegrini - Divangazioni, Brusafer, La fontana del Thures, la casina del Rocco, Luca Giunti e Don Gianluca Popolla.
“Time after time” è un dialogo a distanza sul futuro dell’architettura tra l’autore, una fotografa, un architetto e un critico. Le idee, discusse da Marco Navarra con Laura Cantarella, Eduard Bru e Kurt W. Forster, acquistano profondità di campo grazie a un atlante, che confronta una selezione di testi critici e racconti fotografici.
La seconda fase della ricerca, strutturata in due workshop che si sono tenuti nel 2009 e nel 2010, ha generato un grande archivio narrativo, formato da materiale audiovisivo e testuale, che è servito a scomporre il palinsesto del territorio del Belice per poi ricomporlo e restituirlo in una sua, inevitabilmente parziale, nuova rappresentazione critica.
These photographs by Laura Cantarella lend themselves to a curious ambiguity: presented in a super-panoramic format, they deploy themselves before us like a vast register of extended horizons, diverse, changing, varied. However, when we hold the edges of the picture in our fingers and bend it until they meet, we discover an unexpected 360-degree diorama that reveals the true format of the image: that of a circular view as the translation of a polyfocal, multiple gaze attentive to the recognition of an nth-dimensional reality. In effect, Cantarella’s photographs bend space and time in a single image.” – Manuel Gausa
In an advanced prospecting of today¹s territory, HiperCatalunya seeks to import tomorrow’s potentials to interrogate the territory to bring out its capacities and latencies. Beyond the traditional mechanisms of territorial analysis, this group endeavour attempts to identify and express a multidisciplinary approach to our environment, encouraging interpretations open to potential interaction between the existing and the imaginable, in accordance with an innovative dimension of contemporary culture tending of foster new spaces for new ways of life, but also new logics and new aesthetics for new escenarios of progress.